domenica 1 settembre 2013

Le Valli Neva e Pennavaira tra natura arte e storia (I)

Le Valli Neva e Pennavaira tra natura arte e storia (I) 
Giorgio Casanova 

Il presente articolo (e quelli che seguiranno) è la prima parte del resoconto di una ricerca, durata alcuni anni, destinata a confluire nel volume d’imminente pubblicazione “Il marchesato di Zuccarello tra medioevo ed Età Moderna”. 
Si tratta di una nuova edizione, riveduta e aggiornata, di quella già pubblicata nel 1989 ad Albenga dalla casa editrice Delfino-Moro. 

Le valli Neva e Pennavaira costituiscono un interessante ambiente naturale della Liguria di Ponente, propaggini delle Alpi Liguri e vie naturali di collegamento con il cuneese. 
L’importanza delle due valli non si limita alla bellezza della natura ma anche al patrimonio culturale e storico dei numerosi insediamenti, le conformazioni delle due valli le fanno apparire assai diversificate, da poche decine di metri alla confluenza dei torrenti Neva e Pennavaire alle montagne poste sopra il Colle di Caprauna e il Colle di San Bernardino in val Neva. Si passa quindi da un ambiente di tipo mediterraneo nella parte bassa delle valli a un ambiente alpino nella parte alta di ambedue (ma in particolare nella val Pennavaira), tutto questo a pochi chilometri di distanza. 
Le testimonianze archeologiche più antiche provengono dalle grotte della val Pennavaira, mentre reperti romani sono venuti alla luce in ambedue le valli. Le testimonianze architettoniche e artistiche sono altrettanto numerose nel medioevo grazie ai castelli eretti dai marchesi di Clavesana e dai marchesi del Carretto, famiglie che dominarono la vita politica ed economica delle due valli per mezzo millennio, sino all’acquisto del territorio da parte della Repubblica di Genova (non senza gravi contrasti con i Savoia) nella prima metà del XVII, seguendone poi le vicende nei secoli successivi. 

Oltre ad una fitta rete di antichi sentieri e mulattiere, almeno uno di questi itinerari costituiva un importante via di collegamento tra Albenga e il Piemonte attraverso la val Neva e già esistente in Età Romana. 

Dalla preistoria all’alto Medioevo 

Come si è accennato in precedenza, grazie agli scavi cominciati negli anni ’50 da Milli Leali Anfossi, le grotte della val Pennavaira hanno svelato la frequentazione umana a partire dal Paleolitico Superiore sino all’Età Romana cioè da sedici millenni a due millenni or sono. Grazie alla conformazione geologica della valle il numero delle grotte è notevole (non tutte adatte a ospitare insediamenti umani), le grotte esplorate archeologicamente furono: L’Arma di Nasino; Grotta del Pertusello; Arma del Cupà; Grotta Taramburla; Garbu du Ciappà; Arma della Colombara; Ciapassa; Bucca da Crosa; Arma dello Stefanin; Arma Porta; Arma dei Carbonai; Grotta le Camere; Grotta delle Rocche Rosse; Garbu da Sera; Arma Grande; Arma Crosa; Arma Ravinella; Arma da Via; Garbu da Geixa; Garbu de Penne; Banzaie; Tana del Barletta. 

Per quanto riguarda le credenze religiose di questi antichi abitanti, prima dell’avvento del cristianesimo, si possono fare solo supposizioni. Alcune delle vette che spiccano dalle montagne che coronano le due valli, vette particolarmente eminenti o con forme che colpivano la fantasia degli antichi, erano probabilmente considerate sacre. Le popolazioni liguri di quei tempi remoti adoravano le rocce, l’acqua, i fulmini ed altri elementi della natura. Uno di questi monti, assai suggestivo se visto dalla val Pennavaira, è il Castell’Ermo posto lungo la catena montuosa che divide la val Pennavaira dalla valle Arroscia. Forse a prova di ciò la presenza, poco sotto la vetta, della chiesetta dedicata a un antico martire: San Calocero, probabilmente eretta per cristianizzare una montagna, già santuario pagano. 

I secoli dell’Alto Medioevo non ci hanno lasciato testimonianze tangibili se non per l’ipotetica presenza del Limes bizantino in funzione antilongobarda di cui non sono, al momento, venute alla luce testimonianze materiali, se pur ne ha lasciate. La zona in cui le due valli convergono verso il mare, presso Conscente, sembra il sito ideale per uno sbarramento o “chiusa” da cui il nome Chiusano oggi Cisano. Sta di fatto che il Limes non era una frontiera come la intendiamo oggi ma una serie di caposaldi posti lungo le vie di comunicazione. Altri siti in val Neva possono essere stati appostamenti adattati a difesa del Limes come Castelvecchio di Rocca Barbena (ma su questo torneremo dopo) ed è assai suggestivo ipotizzare che il nome di Erli derivi dall’antico popolo degli Eruli i cui guerrieri erano forse stati insediati dai Bizantini a guardia della strada, si tratta ovviamente solo di una delle tante ipotesi quando si fa riferimento ad un periodo storico così poco documentato. 

La sola cosa certa è che sia Castelvecchio che Erli si trovano ai piedi della strada che scende dalla val Bormida, altra via d’invasione proveniente dal Piemonte. 

I primi dati storici sicuri: i marchesi di Clavesana 

Con l’avvento dei Clavesana le due valli entrano ufficialmente nella storia documentata, anche se, sino al secolo XII le notizie sono ancora rare, ma è già un mondo che si apre in confronto ai secoli precedenti. Tra i secoli XII e XIII compaiono uno dopo l’altro i nomi dei castelli e degli insediamenti nominati nelle vicende storiche dei secoli successivi sino ad arrivare ai nostri giorni. 

In val Neva il nome che compare per primo (o tra i primi) è Coedano l’attuale Castelvecchio, sicuramente il più importante tanto da dare il nome alla valle, non esisteva ancora Zuccarello fondata dai Clavesana nel 1248. Sino all’avvento dei del Carretto, a partire dal secolo XIV, furono i Clavesana assieme ai loro vassalli a colonizzare le due valli: i Cepolla; i Cazzulini; i Carlo, alcune di queste famiglie divennero poi vassalli dei del Carretto. 

In val Pennavaira alcuni castelli hanno forse un’origine ancora più antica del dominio Clavesanico, specialmente riguardo ai fortilizi situati lungo il crinale montuoso che divide la val Pennavaira dalla val Arroscia. Si tratta dei castelli di Aquila D’Arroscia, del castello di monte Castell’Ermo, di cui non rimane traccia, Rivernaro (anch’esso scomparso). Sembra che in origine si trattasse solo di un sistema di torri di vedetta e solo successivamente trasformati in castelli. 

Sopra Nasino, venne fondato dalla famiglia dei Carlo, un fortilizio che prese il nome dai suoi fondatori: Castel Carlo e che venne distrutto alla fine del secolo XIII dal marchese Emanuele di Clavesana, durante uno dei soliti conflitti con il comune di Albenga. Castel Carlo era collocato in una posizione strategica importante, la vista (ed il controllo) spaziava da Castell’Ermo al castello di Aquila e, dal lato opposto il massiccio del monte Galero, controllando le mulattiere che dalla val Pennavaira salivano i suoi passi per scendere in val Tanaro. 

Riguardo all’organizzazione ecclesiastica sono presenti alcune pievi, la documentazione relativa ad esse risale al Basso Medioevo ma l’intitolazione sembra rivelare un’origine più antica, come la dedica dell’Assunta delle pievi di Castelvecchio, di Castelbianco e della Natività di San Giovanni Battista di Nasino. Delle strutture architettoniche più antiche rimane ben poco: a Erli le murature della pieve di San Martino, probabilmente del secolo XV, a Castelvecchio, alcune murature e portali a Zuccarello il campanile della parrocchiale di San Bartolomeo di fattura medioevale ma in realtà frutto di un restauro ricostruttivo riguardo le bifore e le trifore, avvenuto negli anni ’50 del ‘900. 

Ben poco quindi è rimasto di Medioevale nelle chiese delle due valli, praticamente tutte le parrocchie e cappelle, sono state ricostruite e ampliate dopo il Concilio di Trento e le ristrutturazioni sono continuate sino al secolo XIX. Anche riguardo ai castelli dei Clavesana sono rimaste alcune strutture murarie di quelli abbandonati già alla fine del Medioevo, tuttavia essendo i suddetti castelli passati ai del Carretto già dalla fine del ‘300, è difficile stabilire chi abbia commissionato gli interventi architettonici non essendovi una netta cesura tra i due periodi storici. Resta forse un’eccezione, il castello di Zuccarello preesistente al borgo e d’indubbia fondazione clavesanica. L’analisi delle strutture in elevato ha consentito di datare, con una buona approssimazione, il torrione principale, le mura del cortile, i resti della finestra in cotto, in un arco di tempo che va dalla metà del ’300 alla metà di quello successivo. La metà del secolo XIV è il periodo del passaggio di proprietà del feudo (mediante matrimoni e cessioni varie) dai Clavesana ai del Carretto, i primi in netto declino, sia economico sia politico, i secondi in piena ascesa. E’ dunque difficile credere che il rinnovamento architettonico del castello sia avvenuto per opera dei Clavesana. Nel complesso poche sono le testimonianze più antiche del castello, solo alcune tracce di murature nelle basi delle strutture in elevato. Risalenti al secolo XIII. 

Probabilmente furono due le cose importanti che i marchesi Clavesana fecero riguardo alla storia politica e insediativa delle due valli: la fondazione di Zuccarello e la concessione degli Statuti. Nel primo caso non fecero che ripetere un’operazione già effettuata in valle Arroscia con la fondazione di Pieve di Teco nel 1233 con le stesse modalità. Nel secondo, la concessione degli Statuti, non rappresenta affatto una prova di “democraticità” non consona ai tempi, ma solo un opportuno accordo, siglato nel 1281 (risultano tra gli Statuti più antichi della Liguria) tra i marchesi e la popolazione residente nel feudo, questo per evitare una deriva in favore del comune di Albenga che premeva ai confini e, nel medesimo tempo cautelarsi verso le trame di Genova sempre pronta ad approfittare del malcontento delle popolazioni sottoposte ai feudatari e suscitare rivolte per poi intervenire e sostituirsi ai medesimi. 

Le modalità seguite per la fondazione di Zuccarello e la struttura urbanistica del borgo ci fanno capire gli scopi della sua realizzazione. La proposta dei marchesi, fatta agli abitanti che probabilmente vivevano sparsi nella zona di radunarsi in un unico centro aveva molteplici scopi. 1) politico: erano tenuti meglio sotto controllo. 2) motivazioni fiscali: controllare il passaggio del commercio dal mare al Piemonte. 3) costituire un mercato all’interno del borgo. 4) militari: fortificare l’abitato in funzione antialbenganese (cui Albenga contrappose Cisano come suo caposaldo.) 

Gli statuti regolavano la vita sociale ed economica delle valli, il commercio sia con l’esterno che quello interno, la giustizia, la religione, le vie di comunicazione, l’amministrazione delle comunità, il lavoro riguardante i mulini e i folloni. Ma è soprattutto in rapporto con il territorio che gli statuti contano la maggior parte di capitoli, reati contro il patrimonio naturale o gli animali (intesi come proprietà privata), incendi, furti di frutta e ortaggi, l’allevamento, la regolamentazione delle acque.

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