domenica 1 settembre 2013

Le Valli Neva e Pennavaira tra natura arte e storia (I)

Le Valli Neva e Pennavaira tra natura arte e storia (I) 
Giorgio Casanova 

Il presente articolo (e quelli che seguiranno) è la prima parte del resoconto di una ricerca, durata alcuni anni, destinata a confluire nel volume d’imminente pubblicazione “Il marchesato di Zuccarello tra medioevo ed Età Moderna”. 
Si tratta di una nuova edizione, riveduta e aggiornata, di quella già pubblicata nel 1989 ad Albenga dalla casa editrice Delfino-Moro. 

Le valli Neva e Pennavaira costituiscono un interessante ambiente naturale della Liguria di Ponente, propaggini delle Alpi Liguri e vie naturali di collegamento con il cuneese. 
L’importanza delle due valli non si limita alla bellezza della natura ma anche al patrimonio culturale e storico dei numerosi insediamenti, le conformazioni delle due valli le fanno apparire assai diversificate, da poche decine di metri alla confluenza dei torrenti Neva e Pennavaire alle montagne poste sopra il Colle di Caprauna e il Colle di San Bernardino in val Neva. Si passa quindi da un ambiente di tipo mediterraneo nella parte bassa delle valli a un ambiente alpino nella parte alta di ambedue (ma in particolare nella val Pennavaira), tutto questo a pochi chilometri di distanza. 
Le testimonianze archeologiche più antiche provengono dalle grotte della val Pennavaira, mentre reperti romani sono venuti alla luce in ambedue le valli. Le testimonianze architettoniche e artistiche sono altrettanto numerose nel medioevo grazie ai castelli eretti dai marchesi di Clavesana e dai marchesi del Carretto, famiglie che dominarono la vita politica ed economica delle due valli per mezzo millennio, sino all’acquisto del territorio da parte della Repubblica di Genova (non senza gravi contrasti con i Savoia) nella prima metà del XVII, seguendone poi le vicende nei secoli successivi. 

Oltre ad una fitta rete di antichi sentieri e mulattiere, almeno uno di questi itinerari costituiva un importante via di collegamento tra Albenga e il Piemonte attraverso la val Neva e già esistente in Età Romana. 

Dalla preistoria all’alto Medioevo 

Come si è accennato in precedenza, grazie agli scavi cominciati negli anni ’50 da Milli Leali Anfossi, le grotte della val Pennavaira hanno svelato la frequentazione umana a partire dal Paleolitico Superiore sino all’Età Romana cioè da sedici millenni a due millenni or sono. Grazie alla conformazione geologica della valle il numero delle grotte è notevole (non tutte adatte a ospitare insediamenti umani), le grotte esplorate archeologicamente furono: L’Arma di Nasino; Grotta del Pertusello; Arma del Cupà; Grotta Taramburla; Garbu du Ciappà; Arma della Colombara; Ciapassa; Bucca da Crosa; Arma dello Stefanin; Arma Porta; Arma dei Carbonai; Grotta le Camere; Grotta delle Rocche Rosse; Garbu da Sera; Arma Grande; Arma Crosa; Arma Ravinella; Arma da Via; Garbu da Geixa; Garbu de Penne; Banzaie; Tana del Barletta. 

Per quanto riguarda le credenze religiose di questi antichi abitanti, prima dell’avvento del cristianesimo, si possono fare solo supposizioni. Alcune delle vette che spiccano dalle montagne che coronano le due valli, vette particolarmente eminenti o con forme che colpivano la fantasia degli antichi, erano probabilmente considerate sacre. Le popolazioni liguri di quei tempi remoti adoravano le rocce, l’acqua, i fulmini ed altri elementi della natura. Uno di questi monti, assai suggestivo se visto dalla val Pennavaira, è il Castell’Ermo posto lungo la catena montuosa che divide la val Pennavaira dalla valle Arroscia. Forse a prova di ciò la presenza, poco sotto la vetta, della chiesetta dedicata a un antico martire: San Calocero, probabilmente eretta per cristianizzare una montagna, già santuario pagano. 

I secoli dell’Alto Medioevo non ci hanno lasciato testimonianze tangibili se non per l’ipotetica presenza del Limes bizantino in funzione antilongobarda di cui non sono, al momento, venute alla luce testimonianze materiali, se pur ne ha lasciate. La zona in cui le due valli convergono verso il mare, presso Conscente, sembra il sito ideale per uno sbarramento o “chiusa” da cui il nome Chiusano oggi Cisano. Sta di fatto che il Limes non era una frontiera come la intendiamo oggi ma una serie di caposaldi posti lungo le vie di comunicazione. Altri siti in val Neva possono essere stati appostamenti adattati a difesa del Limes come Castelvecchio di Rocca Barbena (ma su questo torneremo dopo) ed è assai suggestivo ipotizzare che il nome di Erli derivi dall’antico popolo degli Eruli i cui guerrieri erano forse stati insediati dai Bizantini a guardia della strada, si tratta ovviamente solo di una delle tante ipotesi quando si fa riferimento ad un periodo storico così poco documentato. 

La sola cosa certa è che sia Castelvecchio che Erli si trovano ai piedi della strada che scende dalla val Bormida, altra via d’invasione proveniente dal Piemonte. 

I primi dati storici sicuri: i marchesi di Clavesana 

Con l’avvento dei Clavesana le due valli entrano ufficialmente nella storia documentata, anche se, sino al secolo XII le notizie sono ancora rare, ma è già un mondo che si apre in confronto ai secoli precedenti. Tra i secoli XII e XIII compaiono uno dopo l’altro i nomi dei castelli e degli insediamenti nominati nelle vicende storiche dei secoli successivi sino ad arrivare ai nostri giorni. 

In val Neva il nome che compare per primo (o tra i primi) è Coedano l’attuale Castelvecchio, sicuramente il più importante tanto da dare il nome alla valle, non esisteva ancora Zuccarello fondata dai Clavesana nel 1248. Sino all’avvento dei del Carretto, a partire dal secolo XIV, furono i Clavesana assieme ai loro vassalli a colonizzare le due valli: i Cepolla; i Cazzulini; i Carlo, alcune di queste famiglie divennero poi vassalli dei del Carretto. 

In val Pennavaira alcuni castelli hanno forse un’origine ancora più antica del dominio Clavesanico, specialmente riguardo ai fortilizi situati lungo il crinale montuoso che divide la val Pennavaira dalla val Arroscia. Si tratta dei castelli di Aquila D’Arroscia, del castello di monte Castell’Ermo, di cui non rimane traccia, Rivernaro (anch’esso scomparso). Sembra che in origine si trattasse solo di un sistema di torri di vedetta e solo successivamente trasformati in castelli. 

Sopra Nasino, venne fondato dalla famiglia dei Carlo, un fortilizio che prese il nome dai suoi fondatori: Castel Carlo e che venne distrutto alla fine del secolo XIII dal marchese Emanuele di Clavesana, durante uno dei soliti conflitti con il comune di Albenga. Castel Carlo era collocato in una posizione strategica importante, la vista (ed il controllo) spaziava da Castell’Ermo al castello di Aquila e, dal lato opposto il massiccio del monte Galero, controllando le mulattiere che dalla val Pennavaira salivano i suoi passi per scendere in val Tanaro. 

Riguardo all’organizzazione ecclesiastica sono presenti alcune pievi, la documentazione relativa ad esse risale al Basso Medioevo ma l’intitolazione sembra rivelare un’origine più antica, come la dedica dell’Assunta delle pievi di Castelvecchio, di Castelbianco e della Natività di San Giovanni Battista di Nasino. Delle strutture architettoniche più antiche rimane ben poco: a Erli le murature della pieve di San Martino, probabilmente del secolo XV, a Castelvecchio, alcune murature e portali a Zuccarello il campanile della parrocchiale di San Bartolomeo di fattura medioevale ma in realtà frutto di un restauro ricostruttivo riguardo le bifore e le trifore, avvenuto negli anni ’50 del ‘900. 

Ben poco quindi è rimasto di Medioevale nelle chiese delle due valli, praticamente tutte le parrocchie e cappelle, sono state ricostruite e ampliate dopo il Concilio di Trento e le ristrutturazioni sono continuate sino al secolo XIX. Anche riguardo ai castelli dei Clavesana sono rimaste alcune strutture murarie di quelli abbandonati già alla fine del Medioevo, tuttavia essendo i suddetti castelli passati ai del Carretto già dalla fine del ‘300, è difficile stabilire chi abbia commissionato gli interventi architettonici non essendovi una netta cesura tra i due periodi storici. Resta forse un’eccezione, il castello di Zuccarello preesistente al borgo e d’indubbia fondazione clavesanica. L’analisi delle strutture in elevato ha consentito di datare, con una buona approssimazione, il torrione principale, le mura del cortile, i resti della finestra in cotto, in un arco di tempo che va dalla metà del ’300 alla metà di quello successivo. La metà del secolo XIV è il periodo del passaggio di proprietà del feudo (mediante matrimoni e cessioni varie) dai Clavesana ai del Carretto, i primi in netto declino, sia economico sia politico, i secondi in piena ascesa. E’ dunque difficile credere che il rinnovamento architettonico del castello sia avvenuto per opera dei Clavesana. Nel complesso poche sono le testimonianze più antiche del castello, solo alcune tracce di murature nelle basi delle strutture in elevato. Risalenti al secolo XIII. 

Probabilmente furono due le cose importanti che i marchesi Clavesana fecero riguardo alla storia politica e insediativa delle due valli: la fondazione di Zuccarello e la concessione degli Statuti. Nel primo caso non fecero che ripetere un’operazione già effettuata in valle Arroscia con la fondazione di Pieve di Teco nel 1233 con le stesse modalità. Nel secondo, la concessione degli Statuti, non rappresenta affatto una prova di “democraticità” non consona ai tempi, ma solo un opportuno accordo, siglato nel 1281 (risultano tra gli Statuti più antichi della Liguria) tra i marchesi e la popolazione residente nel feudo, questo per evitare una deriva in favore del comune di Albenga che premeva ai confini e, nel medesimo tempo cautelarsi verso le trame di Genova sempre pronta ad approfittare del malcontento delle popolazioni sottoposte ai feudatari e suscitare rivolte per poi intervenire e sostituirsi ai medesimi. 

Le modalità seguite per la fondazione di Zuccarello e la struttura urbanistica del borgo ci fanno capire gli scopi della sua realizzazione. La proposta dei marchesi, fatta agli abitanti che probabilmente vivevano sparsi nella zona di radunarsi in un unico centro aveva molteplici scopi. 1) politico: erano tenuti meglio sotto controllo. 2) motivazioni fiscali: controllare il passaggio del commercio dal mare al Piemonte. 3) costituire un mercato all’interno del borgo. 4) militari: fortificare l’abitato in funzione antialbenganese (cui Albenga contrappose Cisano come suo caposaldo.) 

Gli statuti regolavano la vita sociale ed economica delle valli, il commercio sia con l’esterno che quello interno, la giustizia, la religione, le vie di comunicazione, l’amministrazione delle comunità, il lavoro riguardante i mulini e i folloni. Ma è soprattutto in rapporto con il territorio che gli statuti contano la maggior parte di capitoli, reati contro il patrimonio naturale o gli animali (intesi come proprietà privata), incendi, furti di frutta e ortaggi, l’allevamento, la regolamentazione delle acque.

sabato 31 agosto 2013

Le Valli Neva e Pennavaira tra natura arte e storia (II°)

di Giorgio Casanova


I marchesi del Carretto
Nella seconda metà del secolo XIV i del Carretto di Finale estesero il loro dominio sugli antichi territori dei Clavesana sostituendosi agli stessi in val Neva e val Pennavaira. Nel 1397 Carlo del Carretto si staccò dal terziere del Finale fondando il nuovo ramo carrettesco di Zuccarello, di cui le due valli costituirono il nucleo principale della nuova entità territoriale, anche se il feudo si estendeva in alta val Bormida e in alcune zone della valle Arroscia. Il secolo XV fu quello di maggior lustro per i del Carretto di Zuccarello, imparentati con importanti famiglie genovesi salite al potere dogale, ebbero un ruolo di primo piano nelle vicende storiche della Liguria del tempo, assieme ai loro parenti finalesi. Emblematica è la vicenda di Ilaria, figlia di Carlo del Carretto, andata in sposa al signore di Lucca Paolo Guinigi, per interessamento dei signori di Milano.

Nel corso del secolo XVI anche i del Carretto subirono la stessa involuzione dei Clavesana, indebitandosi sia con la Repubblica di Genova che con i duchi di Savoia, ambedue interessati all’annessione del feudo nel proprio territorio. La rivalità tra i due contendenti porterà, nel corso del secolo XVII, a due conflitti, anche se la questione di Zuccarello non fu l’unica motivazione. Il dominio diretto dei del Carretto sul marchesato finì nel 1624 quando venne acquistato da Genova rimanendo in suo possesso sino alla caduta del regime aristocratico nel 1797.

Dal punto di vista artistico del periodo carrettesco oltre al castello di Zuccarello, le cui strutture appartengono ad un periodo di transizione tra le due casate, le testimonianze artistiche più importanti sono le tracce di affreschi, tutti a soggetto religioso, risalenti al secolo XV. Il ciclo più completo è quello della chiesa di San Martino di Erli restaurato recentemente. Si tratta della tipica manifestazione artistica conosciuta come “ pittura tardogotica delle Alpi Marittime” non tutte del medesimo pregio, alcune sono di fattura assai popolare come nel caso di Erli, ma non meno interessanti di altre più raffinate. Anche il pittore (la cui identità è ancora sconosciuta) è stato associato all’autore di alcuni affreschi esistenti nella chiesa di San Pantaleo di Ranzo e chiamato per questo motivo “Maestro di San Pantaleo”. Si tratta probabilmente di un pittore itinerante. Erano assai frequenti, nella Liguria di ponente del ‘400, pittori provenienti in prevalenza dal monregalese o comunque dal Piemonte occidentale, territorio strettamente legato alla Liguria di ponente.

Gli affreschi di Erli risultano interessanti per un altro motivo, alcuni santi sono rappresentati doppi, si ritiene che il motivo di ciò sia dovuto al fatto che potrebbe trattarsi di ex voto, ma si tratta ovviamente solo di un’ipotesi. Tra i santi raffigurati si possono riconoscere Sant’Antonio Abate, San Giovanni Battista, San Mauro, San Cristoforo, San Pantaleo, San Michele Arcangelo, Santa Caterina d’Alessandria, Santa Lucia, la Vergine in trono con Gesù sulle ginocchia. Gli affreschi sono stati datati agli ultimi decenni del’400. Altri resti di affreschi si possono ancora vedere nella diroccata cappella di San Giovanni e sotto un archivolto presso un’antica costruzione chiamata la Carpaneta, si tratta di tracce talmente labili da rendere impossibile ogni ipotesi d’identificazione dei soggetti rappresentati.

A Castelvecchio sono rimaste ancora meno tracce visibili, è possibile che se ne trovino sotto l’intonaco delle navate della parrocchia di N.S. Assunta (dove si intravedono alcune figure) e, secondo un’antica descrizione, anche la facciata dell’oratorio dei Disciplinanti di Santa Maria Maddalena era affrescata, rappresentava la Passione di Cristo ed era ancora visibile agli inizi del seicento. Anche il castello di Zuccarello conserva tracce di affreschi di fattura sicuramente superiore a quelli citati in precedenza essendo esso la residenza dei marchesi (come il palazzo esistente nel borgo, molto ristrutturato nel secolo XIX), altra cosa sono gli affreschi ancora esistenti nella cappella stradale di sant’Antonio Abate posta poco prima di entrare nel borgo di Zuccarello (per chi arriva da Albenga), di fattura inferiore a quelli del castello ma migliori di quelli di Erli.

Riguardo alla val Pennavaira le testimonianze in riguardo alla pittura del Quattrocento sono altrettanto frammentarie, ne rimane traccia in almeno tre cappelle stradali (una trasformata in santuario). La prima è quella di San Lorenzo a Castelbianco in frazione Vesallo, questi affreschi, di cui oggi rimangono scarse tracce, erano ancora leggibili negli anni ’80 del secolo scorso, si distingueva San Lorenzo, la Madonna in trono e un’altra figura incerta.

A Nasino un’antica cappella venne inglobata nel santuario della Madonna di Curagna, gli affreschi affiorano sotto uno strato di calce, allo stato attuale non è possibile identificare le figure. Ad Alto è la cappelletta di San Sebastiano, sulla vecchia mulattiera di collegamento tra Alto e Caprauna, a conservare tracce di affreschi, si distingue chiaramente Sant’Apollonia, la Vergine con Gesù e San Sebastiano, le altre figure sono illeggibili. Gli affreschi di Castelbianco e Alto sono stilisticamente simili a quelli di Erli. 



I castelli dei Clavesana e dei Del Carretto
Nelle due valli rimangono numerose testimonianze riguardanti i castelli, di alcuni di essi rimane solo la traccia documentaria, di altri i ruderi, di altri ancora la struttura quasi completa. Non si conosce di nessuno di essi la data di fondazione ma si ritiene che la maggior parte risalga ai secoli XII-XIII, questi castelli dovevano essere di forma assai modesta (in genere una torre con un recinto). Nei castelli del tempo non esistevano, o era assai raro, costruzioni destinate a scopo residenziale delle classi dominanti o se erano esistite erano costituite da opere precarie solitamente in legno. I castelli dell’ex marchesato ancora oggi abitabili come quello di Castelvecchio di Rocca Barbena e di Alto assunsero l’aspetto attuale in Età Moderna e somigliano più a palazzi fortificati che a castelli medievali sebbene ne conservino alcuni elementi. Alcuni di questi castelli furono edificati in zone impervie difficilmente abitabili come quelli eretti sulla catena montuosa che divide la val Pennavaira dalla valle Arroscia, si ritiene che in origine si trattasse solo di torri di avvistamento e segnalazione così riguardo ai castelli di Aquila d’Arroscia, Castell’Ermo (di cui non rimane traccia), Rivernaro (demolito nel secolo XIX per costruire le batterie di Rocca Liverna) a protezione della chiusa di Zuccarello. Anche Castel Carlo, costruito su una rocca sopra Nasino è anch’esso del tutto scomparso, aveva in prevalenza funzione di avvistamento e collegamento con altri castelli, da esso si vedevano almeno altri tre castelli: di Aquila, Alto e Castell’Ermo, mentre alle sue spalle scendevano le mulattiere dal massiccio del monte Galero provenienti dalla val Tanaro e sulle quali il castello vigilava.

A questo proposito cioè sulle questioni dei castelli e il loro rapporto con le vie di comunicazione rimane (in alcuni casi) il dilemma se siano essi ad attirare le vie di comunicazione o viceversa, A.A. Settia ritiene che i centri abitati, prima dei castelli, nascano lungo le strade ma non è raro il caso contrario cioè di strade calamitate dai centri abitati. Sulla questione strategica scrisse sempre Settia “ L’ipotesi strategica che connetta fortificazioni medievali e strade, a prima vista suggestiva, rischia dunque di perdere ogni validità allorché, con l’aiuto di documenti, si scenda nei particolari e ci si sforzi di inserire ciascun elemento nel suo tempo e nel suo spazio, l’ambizione di vedere distribuiti per scacchieri tutti i castelli di cui si ha notizia in una data zona si può incappare in facili smentite: ben difficilmente, infatti, è possibile considerare in un unico blocco un fenomeno come quello dell’incastellamento assai spesso riproposto, attraverso i secoli, sul medesimo terreno in situazioni e motivazioni anche molto diverse tra di loro”. Ricapitolando è difficile sostenere che i castelli delle due valli siano nati in seguito di un piano ben preciso anche perché non tutti vennero costruiti dai medesimi feudatari, infatti, i castelli di Zuccarello, Castelvecchio, Aquila, Castell’Ermo, Castelbianco, sono probabilmente di fondazione clavesanica, Castel Carlo venne fondato dalla famiglia dei Carlo, i castelli di Alto e Nasino furono costruiti dai Cepollini a loro volta feudatari per conto prima ai Clavesana poi dei Del Carretto. I castelli di fondazione clavesanica appartenevano ad un contesto più vasto rispetto al marchesato carrettesco di Zuccarello, nato per il frazionamento dei possedimenti dei Clavesana. 

Non mancano in qualche caso le leggende, nate probabilmente dalla suggestione dei luoghi come quelle relative al castello di Aquila. Forse pochi castelli hanno acceso la fantasia popolare come il castello suddetto collocato in posizione dominante, circondato da un paesaggio suggestivo e selvaggio, di fronte al castello di Alto, suggestione di cui si fecero carico gli scrittori dell’ottocento forti in descrizioni romantiche, meno in analisi storiografiche, così come un breve cenno sul castello contenuto nel Dizionario Geografico Universale dell’Italia, della metà del secolo XIX in relazione ad “ Un vecchio castello torreggiante sulla cima della montagna che sta di fronte al comune di Alto, su cui fermano le aquile (che) diede il nome al villaggio “. Ferdinando Casa raccolse e riportò una leggenda: “ Chi si affaccia in val Pennavaira nella zona circuita dei tre castelli vede spiegare sul fondo largo del torrente un enorme masso solitario e tondeggiante, di qualche decina di metri di altezza. La voce del popolo l’ha designato come la palla di Rolando, a titolo di omaggio forse dell’antico paladino delle Langhe, prodigioso assertore della libertà nella lotta contro i saraceni”.

Un’altra leggenda racconta come le Bazure (streghe) << convenute sui ruderi dei tre manieri smaniose e furenti, giocassero un tempo, usando della propria magia, con quell’enorme palla nelle notti illuni, quando su in alto, sul Galero e sull’Armetta, si scatenava furiosa la tempesta e rumoreggiava sordamente il tuono fin oltre le Alpi, e più tardi, dopo il gioco, si ritirassero tra urla, strepiti e risa sguaiate, nel castello incantato, tra le grandi fantasiose inveterate che si profilavano su quei ruderi ai sinistri bagliori delle folgori, finché all’alba tutto era di nuovo silente nella quiete alpestre >>. Quello che è invece storicamente documentato sono le lotte sostenute dai marchesi Clavesana contro Albenga e che vide il castello testimone alla fine del secolo XIII quando divenne il covo di un gruppo di banditi.

Per Castel Carlo, invece, le sue vicende durarono assai poco, venne distrutto attorno al 1290 dal marchese Emanuele di Clavesana, nel corso della guerra contro Albenga ed ai suoi alleati, dal sito in cui sorgeva, il Pizzo di Carlo a 826 metri di altezza, si può ammirare un bellissimo panorama ma nulla del castello se non qualche piccolo brandello di muro. Miglior sorte ebbe il castello di Alto nonostante le vicissitudini (ebbe a subire danni anche durante l’ultimo conflitto mondiale), meno fortuna ebbe invece il castello di Nasino costruito dalla famiglia Cepollini. Il castello è nominato per la prima volta nel 1347, nel secolo XVI risulta infeudato a Gio Bartolomeo del Carretto e Caterina sua moglie, marchesi di Zuccarello. Con la divisione del marchesato in due rami (Zuccarello e Balestrino) la proprietà del castello e paese furono anch’essi divisi, nel 1735 il feudo passò al re di Sardegna, i suoi abitanti divennero sudditi dei Savoia. Nella seconda metà del secolo XVIII il castello era ancora integro ma subì danni irreparabili durante gli eventi rivoluzionari di fine secolo, nel 1794 gli abitanti di Nasino assieme ai soldati francesi saccheggiarono il castello e scoperchiarono il tetto per vendere il legname condannando così il maniero alla rovina.

Il castello di Castelbianco, situato sopra la frazione di Vesallo, ebbe sempre una scarsa importanza. Citato in un documento del 1202 in una convenzione tra le comunità rivierasche e dell’entroterra con Genova dopo lo scoppio di una rivolta anti-marchionale, anti-vescovile, anti-signorile, anti-albenganese. Alla rivolta aveva partecipato anche la comunità della val Pennavaira.

Il castello fu soprattutto un punto di avvistamento e di segnalazione e, nell’Età Moderna, la sua funzione strategica fu irrilevante, di esso restano scarse rovine.

Le notizie sul castello posto sul monte Castell’Ermo a 1092 metri d’altezza sono assai scarse. Nel secolo XVIII venne coinvolto nella guerra tra i Clavesana e il comune di Albenga, rimasto proprietà dei Clavesana nel 1297 lo infeudarono ai Cepolla. La sua collocazione era significativa, dominava la colla d’Onzo e la colla di Curenna, due passaggi dalla val Pennavaira alla valle Arroscia, dalla sua posizione dominava un vastissimo panorama rivierasco e alpino, nascosti tra i cespugli, ne avanzano alcuni resti. Restano tuttavia molte incertezze sulla sua localizzazione precisa, secondo Mario Macagno, autore di un libro su detta montagna, nella zona chiamata Cucchi dove da tempo immemorabile si era verificata una frana di dimensioni tali da trascinare a valle un’enorme quantità di metri cubi di roccia, cioè una vera e propria fetta di montagna sulla quale poteva essere situato il castello o i suoi ruderi.

In val Neva si trovano i due castelli principali (escludendo il castello di Cerisola che mai fece parte del marchesato di Zuccarello e di cui rimangono scarsi resti), cioè quelli di Castelvecchio e di Zuccarello. Non si conosce la data di fondazione di nessuno, la prima citazione documentaria attualmente conosciuta risale per ambedue al 1216. Il più antico è sicuramente quello di Castelvecchio risalente probabilmente al secolo XVII, ma non si esclude costruito su fortificazioni più antiche, anche se al momento mancano le prove archeologiche. Il detto castello venne ricostruito nella seconda metà del secolo XVI quando i marchesi Del Carretto vi trasferirono la loro residenza dalla sottostante Zuccarello, del castello precedente rimase la torre tardo medievale e brandelli di mura. Nel corso della sua secolare storia ebbe a subire numerosi assedi come nella lotta tra i Clavesana ed Albenga, ma i danni peggiori li subì durante le guerre d’invasione ad opera dei Savoia nel secolo XVII, assedi subì il castello nel 1614, 1625 e 1672 ed ancora nel secolo successivo durante la guerra di Successione austriaca negli anni 1745 e 1746, venne coinvolto nelle operazioni e movimenti delle truppe francesi e austro-sarde durante la battaglia di Loano nel 1795. 

Il castello divenne proprietà del demanio sardo e nel 1844 fu acquistato dal marchese di Balestrino passando alla famiglia Malco nel 1879 e rimase di loro proprietà sino al 1967. Attualmente è di proprietà dei Pelizza da Volpedo discendenti del pittore simbolista.

Meno fortunato fu il destino del castello principale del marchesato quello di Zuccarello. Al momento del passaggio di proprietà dai Clavesana ai Del Carretto e la nascita del ramo di Zuccarrello (distaccatesi dal marchesato di Finale) divenne la residenza dei marchesi assieme al palazzo del borgo. Risale a quel periodo la ristrutturazione del castello come il torrione principale, dove si trovava il salone e gli affreschi nello stanzone sottostante. Il maniero seguì il destino dei suoi proprietari, un’elegante residenza con il loro insediamento nel marchesato che subì spogliazioni già nel corso del 500 per opera degli stessi Del Carretto in conflitto tra di loro, fu l’inizio della decadenza del castello accentuata nel secolo successivo dal passaggio del marchesato dai Del Carretto alla Repubblica di Genova nel 1624 e dall’invasione savoiarda dell’anno successivo.

Da quella data il castello venne utilizzato come presidio militare comprendente un castellano e pochi soldati per la guardia, il castello venne ovviamente svuotato dei pochi mobili di pregio che ancora conteneva e subì alcune modifiche sia interne sia esterne per adattarlo alla nuova funzione.

Questo non fermò la sua decadenza accentuata dalle vicende del nuovo conflitto tra la Repubblica di Genova e i Savoia nel 1672 quando, terminato il conflitto, rischiò di essere demolito per far posto ad una moderna fortezza. Il castello venne nuovamente utilizzato nel 1746 e durante la battaglia di Loano nel 1795 come parte integrante di una linea trincerata realizzata dai francesi contrapposta a quella austro-piemontese. Dopo queste vicende il castello non ebbe più nessun ruolo nella storia della valle andando sempre più in rovina. Venne riscoperto da Alfredo D’Andrade negli anni ’80 del secolo XIX che, provvidenzialmente, fece rinforzare con un pilone il torrione principale altrimenti destinato ad una sicura rovina. Negli anni recenti, grazie all’interessamento del comune di Zuccarello, della Regione Liguria, Sopraintendenza ai monumenti, Sopraintendenza Archeologica e dell’ISCUM (Istituto per la Storia della Cultura Materiale) il torrione è stato restaurato e consolidato ed eseguito uno scavo archeologico con il progetto di attrezzare il torrione ad uso di mostra e il cortile per i futuri visitatori.






Le Valli Neva e Pennavaira tra natura e storia (III°)